Si chiama Me, Myscent, ed è una provocatoria opera scultorea divisa in due parti – un libro ed un profumo – in mostra dal 17 Aprile all’11 Maggio presso lo Spazio AlbumArte di Roma in occasione di RE:HUMANISM Art Prize.
L’evento collettivo, incentrato sul rapporto tra arte ed intelligenza artificiale, vede dunque la partecipazione di un’opera unica nel suo genere, realizzata dopo un attento studio di quelle che sono le tracce che lasciamo in giro per la rete, i cosiddetti Big Data.
Il profumo che possiamo annusare mentre osserviamo l’opera – realizzata dall’artista Michele Tiberio in collaborazione con Diletta Tonatto – è di fatto una fragranza ottenuta, dopo più di un anno di lavoro, analizzando tutto ciò che esiste online dell’artista: Instagram, Facebook, foto, messaggi privati, like, pagine visitate e così via.
Grazie poi ad un algoritmo creato dalla Tonatto – che è direttrice artistica e AD della Maison Tonatto Profumi – assieme alla società di consulenza tecnologica Alan Advantage, è dunque possibile trasformare ogni identità virtuale in un profumo unico ed irripetibile.
Così la stessa Diletta Tonatto in merito a questa sua particolare creazione:
“Ogni volta che usiamo lo smartphone o accediamo ad internet riveliamo qualcosa di noi. La quantità di dati che viene creata e immagazzinata a livello globale è enorme. Ma cosa significa questo per le aziende e le organizzazioni? E per le persone fisiche? In quali modi si può fare uso delle informazioni grezze che transitano ogni giorno sul web? Grazie all’algoritmo, la traccia digitale si trasforma in traccia olfattiva. L’algoritmo processa 5 tratti principali e 7 valori secondari. Analizzando risultati e valori e incrociandoli tra loro, è possibile associare ad ogni tratto di personalità una precisa essenza. Le varie note olfattive, miscelate nelle percentuali calcolate dall’algoritmo, danno vita ad un profumo unico. Il primo profumo estratto dai big data e dai digital data.”
Quali le caratteristiche di questo profumo? Ce le spiega lo stesso Michele Tiberio descrivendo la sua opera:
“Nel profumo l’introversione si associa a note orientali e sintetiche, il lato dandy ed edonista corrisponde ad un accordo di tabacco, vetiver e whisky mentre la parte femminile si realizza nel gelsomino. Una fragranza a tratti moderna a tratti ancestrale. Forte è infatti la presenza di note di origine animale (ambra, muschio, castoro), preferite dai millennials, che enfatizzano la coesistenza e l’unicità dell’esserci. Noi siamo inevitabilmente anche il passato, non solo soggettivo ma generazionale. I sensi non dimenticano la storia, o almeno non l’olfatto. Il risultato è un profumo fiorito, speziato, verde e antico al tempo stesso.”
Un esercizio certamente provocatorio, che vuole mettere l’accento sulla riappropriazione della nostra stessa identità, concetto sempre più labile e complesso in quest’era digitale.
E le domande che lascia sono parecchie: qual è il confine tra pubblico e privato? Quanto possiamo riconoscerci nella nostra identità digitale? E nel suo profumo?
Di certo si tratta di un esperimento davvero sorprendente, che riesce a dare una forma tangibile (seppur solo olfattiva) a quei dati impalpabili che rappresentano la nostra identità online.